domenica 30 giugno 2013

“You’re red and blue”: l’amore di Fabrizio De Andrè per il Grifone




Chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare” canta Ivano Fossati, prefatore del volume dedicato all’amore di Fabrizio de Andrè per il Genoa. E chi meglio di colui che ha narrato la storia del Mare di Roma (Daniele De Rossi), il vicedirettore de Il Romanista, Tonino Cagnucci, poteva accingersi a realizzare una fatica letteraria che soprattutto è un atto d’amore. Un atto d’amore di un romanista per un intellettuale amante del pallone e della prima squadra italiana di calcio. Loro sì, il calcio l’hanno portato veramente e non in una città, ma in un paese intero.

Faber è genoano prima di nascere e lo sarà fino a morire facendosi cremare con la sciarpa rossoblu, lui che scelse di diventarlo il giorno nel quale il Genoa perse contro il grande Torino nel 1947, andando contro il padre ed il fratello granata, una scelta contro, di un uomo che già a sette anni sapeva stare solo dalla parte dei deboli, in direzione ostinata e contraria. Una passione, quella per il calcio in generale e per il Genoa in particolare, rimasta sempre sullo sfondo delle biografie uscite in questi ultimi anni ma che Cagnucci ha il merito di scandagliare in profondità giovandosi delle agende personali del cantautore genovese conservate nel centro studi a lui dedicato dall’Università di Siena, e che nascondono un De Andrè diverso. In quelle pagine si nascondono le stesure originali del disco “Le Nuvole” assieme a schizzi di formazione, a calcoli, a tabelle salvezza, a note davvero illuminanti che sembrano scritte da un direttore sportivo e restituiscono l’immagine di un tifoso talmente acceso che si rifiutò sempre di scrivere una canzone che lontanamente parlasse del Genoa. La canzone per una squadra avrebbe rischiato di trasformarsi in un inno patriottico o campanilistico, due aggettivi dai quali Fabrizio rifuggiva. 

Il libro è sorprendente come la biografia stessa di De Andrè spesso descritto, in vita come un musone, misantropo interessato solamente a se stesso e alla musica e invece, lo si è scoperto una delle persone più attente al valore dell’amicizia. E ci sono amicizie e presenze sorprendenti che aiutano a declinare la passione tutta deandreiana per il Grifone genoano: don Andrea Gallo, Riva, Turone (proprio lui, quello “dergodeturoneerabbono”), Venditti, Zigoni, e financo Villaggio e i New Trolls nonostante fossero doriani. Un amore senza tentennamenti, profondo, vero, cieco come il vero amore deve essere, quello che gli fa dire alla fine del suo primo matrimonio, “è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati” (Giugno 73, non è solo la fine di un amore ed il titolo di una canzone ma è l’anno della promozione in serie A del Genoa). Un amore che resiste a tutto perfino alla prigionia. Ospite costretto nello scomodo Hotel Supramonte, assieme alla moglie Dori, vengono sequestrati per mesi dall’Anonima sarda per quattro mesi, nel 1979. Ai banditi che lo chiamavano Signore e che lui perdonerà aveva una sola, pressante richiesta, fargli sapere i risultati del Genoa. Non la fame, non il freddo ma la voglia di non tagliare del tutto il cordone ombelicale con la “signora libertà”. La crudele ironia volle che una delle partite ascoltate alla radio, per concessione dei banditi, fosse una partita che il Genoa perse tre a zero contro la Ternana, giocata nello stadio del capoluogo umbro che si chiama Liberati. Ma quando vennero liberati veramente il Grifone gli regalò una vittoria sofferta contro il Taranto, segno evidente e manifesto della fine dell’incubo. Proprio la prigionia fu l’epifania del sentimento genoano, l’amore per il Grifone si manifestò nel momento peggiore della vita di Faber ma fu, probabilmente, l’ancora di salvataggio per poter resistere. Il Genoa lo aveva accompagnato sin dalla nascita anzi prima, “io sono genoano da prima di nascere”, era stato la colonna sonora dei momenti felici e bui della sua vita tanto da far dichiarare a Dori Ghezzi che il Genoa “l’amava Fabrizio quindi l’amo anch’io”.    

Articolo di Andrea Argenio per L'uninformato.it

mercoledì 26 giugno 2013

Quella sciarpa gliel'ho regalata io...

«Dentro alla bara di Fabrizio c’è una sciarpa del Genoa... Quella sciarpa gliel'ho regalata io... Fabrizio era uno del grande popolo del Genoa. Lui queste cose le sapeva bene, le sapeva meglio di chiunque altro. Di che parliamo? Di questo sentimento di genoanità. Di quel campionato di serie C, di quel Genoa lì... Le sapeva persino meglio di me certe cose De André, eppure senza di me sugli spalti il Genoa non giocava. La mia prima partita allo stadio è del 1939, Genoa contro Liguria, all’epoca loro (i doriani, nda) non c’erano... Mi chiedi perché i doriani non cantano allo stadio Creuza de ma? E ti credo, come fanno? ... Genova non è roba loro. Non li consideravamo, io non chi siano. A Genova sono famoso anche per questo, una volta Il Secolo uscì con una pagina e un titolo: "Ecco l'uomo che non ha mai nominato la Samp". (...)
 
La Liguria aveva la maglia nera, era la squadra dei fascisti. Anche in questo Fabrizio è stato profondamente genoano. Anarchico nell’anima. Sotto il fascio ci hanno costretto a cambiare nome, ci hanno chiamato Genova, perché noi eravamo la squadra del popolo, ma anche la squadra fondata dagli inglesi. Io me le ricordo le irruzioni delle squadracce in piazza De Ferrari in sede. Essere del Genoa è un inno alla libertà, al mare. E Fabrizio De André più di ogni altro ha cantato la libertà. Per me il Genoa è sempre stato tutto. Ho fondato club e ho vissuto la Gradinata Nord. C’era un tempo in cui se non andavo allo stadio non cominciava la partita, ancora adesso vado allo stadio, sempre andrò a vedere il Genoa, in tribuna o a salutare i ragazzi della Gradinata. Li conosco tutti. Sono stato testimone di nozze di Ramon Turone, che grande Ramon, l’hai sentito? Lui l’ha conosciuto Faber. Quando abbiamo vinto quel mitico campionato di serie C, poi l’hanno venduto al Milan, lui quella sera è venuto a bussare a casa mia piangendo, sbattendo la porta: “Pippo fai qualcosa tu, fammi restare, non mi far andare via dal Genoa”.
 
L’ho dovuto consolare e dirgli io: “Guarda cazzo che vai al Milan!”. Non gliene fregava niente, Ramon era stato il Capitano di quel Genoa entrato per sempre nei nostri cuori, dei cuori malati di Genoa come quello di Faber. Quando Turone è andato a Roma sono andato a trovarlo, a Via Appia. Io simpatizzo per la Roma. Ci legano tante cose... Ogni genoano sente l’orgoglio di avere Fabrizio De André nella sua famiglia, è uno di noi, gli abbiamo fatto parecchi striscioni. La sua era una passione incolmabile di cui io sono testimone. Il testimone della fede di Faber. Mi piace questa cosa. Lui era uno del popolo del Genoa. E c’è tanto dell’essere genoani nel suo modo di cantare. Fabrizio De André non era un simpatizzante, non era uno così, era uno colto del Genoa, uno che ci capiva, che non lo esternasse è un altro conto. E pure questo fa parte della genoanità. Noi non svendiamo le cose. (...)
 
Parlavamo soprattutto di cosa significhi essere genoano. Parlavamo dei tempi mitici di quella serie C. Tu mi chiedi qual è stata la gioia più grande di me come tifoso, io ti dico la vittoria nel campionato di serie C nel 1970-71. È così per chiunque abbia vissuto la storia del Genoa. La prima partita di quel campionato a Marassi c’erano 42 mila persone, vattelo a vedere! Siamo andati porta a porta a prendere la gente per portarla allo stadio. Più di 40 mila genoani per la prima partita in serie C della nostra storia contro l’Olbia. Questo è il Zena. Questo è quello che ci raccontavamo con Fabrizio. Non gli è andata mai via questa passione: se l’è portata fin dentro la tomba». (Pippo Spagnolo)
 
Da Il Grifone fragile pagg. 73-75

giovedì 20 giugno 2013

Fabrizio De André e la sua passione per il Genoa

Troppo spesso il calcio viene considerato uno sport legato ad ambienti non propriamente definiti intellettuali. Grazie a Tonino Cagnucci  e al suo libro “Il Grifone Fragile – Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa” si può finalmente sdoganare questo pregiudizio.

“Il tifo è una sorta di fede laica… nasce da un bisogno forse infantile ma pur sempre umano…”

In pochi potevano immaginare che questa frase appartenesse ad un poeta sensibile come Fabrizio De Andrè che raccoglieva in “un’agenda color beige” tutti i suoi pensieri, i ritagli e i disegni non semplicemente sul calcio, ma sul Genoa. Il suo Genoa.

“Prima e dopo, sotto e sopra, il Genoa. Il Genoa tra Curcio e Sofri, fra Aosta e Palermo, fra una canzone di De Andrè e un’altra di De Andrè. Il Genoa e soprattutto le sue formazioni”

Scoprire questo lato di Faber – soprannome datogli da Paolo Villaggio – fa capire che la poesia del calcio e del tifo può elevarsi grazie ai propri interpreti. La sua passione per i personaggi contraddittori e liberi, che tante volte ha cantato, lo portava, anche nel calcio, a preferire quei giocatori controcorrente come Meroni e Zigoni.

“Ho una certa reticenza nell’identificarmi con chi vince”

L’autore ricostruisce la passione per il Genoa grazie ai diari di De Andrè, custoditi nell’omonima Fondazione, e intervistando le persone che hanno vissuto direttamente o indirettamente il cantautore genoano.  Cagnucci maneggia con sapienza la letteratura e rende, un libro di carattere sportivo, un saggio di cultura letteraria senza precedenti. I richiami letterari, da Pasolini a Shakespeare, testimoniano che si può parlare di calcio senza essere necessariamente dei minus habens.

“Non ci hanno nemmeno permesso di sentire la radio, tranne un paio di domeniche per distrarci con il campionato di calcio: ricordo di aver sentiti la radiocronaca di due vittorie del Milan e soprattutto di una netta sconfitta del mio Genoa, il tre a zero a Terni. E quella è stata una domenica ancora più tremenda per me…”

Parole di un’intervista rilasciata da De Andrè dopo il rapimento di cui fu vittima assieme alla moglie Dori Ghezzi in Sardegna. L’anonima sequestri sarda li tenne segregati per quattro mesi. Durante la prigionia Fabrizio chiedeva spesso del Genoa, era l’unico svago che gli era concesso.

“Tutta la mia musica e i miei sentimenti rifuggono dagli inni. Le mie sono marce e ballate, non cose patriottiche o campanilistiche. Per il Genoa, semmai, potrei comporre una canzone d’amore”

“Creuza de ma”, però, l’hanno scelta i genoani e la cantano ancora come fosse il loro inno, mentre De Andrè riposa con accanto la sciarpa del Genoa.

Articolo di Fabiola Rieti per Sport Story

Faber Vs Milan

"Che cosa sono io? Sono un genovese emigrato a Milano per lavoro, come potrei avercela con i miei fratelli immigrati da qualsiasi Sud provengano? A Milano ho trovato lavoro... Ma il vero lavoro, quello di comporre canzoni, l'ho fatto a Genova... Non capisco cosa c'entri Genova con la cosiddetta Lega Nord: possibile che andiamo a fraternizzare con quelli che nella storia ce ne hanno fatte di tutti i colori? (...)
Domenica Milan-Genoa ... è un derby in famiglia. Dori segue il Milan addirittura agli allenamenti di Milanello, dall'epoca di Nereo Rocco. Io sono genoano da prima di nascere. Pagani e moglie hanno il cuore a strisce rossonere: per non sentirmi solo mi son portato da Genova mio nipote Giuseppe (...)
Vinceranno i più ricchi. Indipendentemente dal gioco e dal risultato direi che la partita ha tutte le caratteristiche della vecchia lotta di classe: un Genoa proletario contro un Milan plutocrate e pluridecorato...".

Da Il Grifone fragile pp 138-139

lunedì 17 giugno 2013

17 Giugno 1973

"Settanta. Sono appena iniziati gli anni più romantici della storia del Genoa, gli anni più romantici della vita di Fabrizio De André. (…) Mai come adesso per Faber sono la stessa cosa: una storia d'amore per cui è difficile fare una canzone. Difficile scriverne. Difficile parlarne quando verranno a chiederne conto gli altri. (…) Quando verranno a chiedertelo per il gusto di vedere il tuo imbarazzo per quest'amore domandato, demandato, retrocesso. Sono gli anni più romantici di Fabrizio De André. Il Genoa è in serie B. Il matrimonio con Puny finisce (…).

Il Genoa che strappa i capelli è perduto. L'amore fiorisce fuori da una camera da letto ingiallita. Non al denaro, non all'amore, né al cielo ma al Grifone sì. A via Armeria nasce il Club Ottavio Barbieri, da lì tre anni dopo la Fossa dei Grifoni. Sono gli anni più romantici della società italiana. Ma sono anche anni di piombo. Anni di fiori. Anni di ideali. Siamo agli albori del tifo organizzato. Genova, tra porto, poesia, incazzatura, storia, tramonto sbilenchi e mare è una piazza fantastica da questo punto di vista. Il termine ULTRAS secondo certe lezioni, sicuramente di parte comunque non cialtrone, nasce proprio in una piazza di questa città, per una scritta doriana: Uniti Legneremo Tutti i Rossoblù a Sangue.

Giochi di bimba. Sicuramente i genoani faranno vedere a tutti che significa amare senza condizioni e condizionamenti oltre le categorie, oltre i divorzi e i matrimoni (…) Fabrizio De André e Puny si lasciano e il Genoa finisce per la prima volta nella sua storia in serie C. Il grifone non è mai stato così fragile. Mai (…) Con un bambino da crescere e le passanti che non smettono mai di passare. Il Genoa è in C, De André che ha cantato l'amore perduto (…) non la lascia sola. Lo fanno tutti i genoani. Come fan presto amore ad appassire le rose, ma i mille papaveri rossi no. Il popolo salva il Genoa, il poeta scioglie il suo privato nel pubblico. Scrive capolavori definitivi (…) prende e segue il Genoa, per terra, per cielo e per mare.

“Facevo trasferte lunghissime in automobile... Di tutto per il Genoa”


Come fan presto amore ad appassire le rose, ma i mille papaveri rossi no, ti faranno veglia anche all'ombra dei fossi e della Fossa dei Grifoni che sta per nascere.(...)
Sono gli anni più romantici della storia del Genoa, gli anni più romantici della vita di Fabrizio De André che sta vivendo la storia che lo porterà a scrivere una delle sue più belle canzoni d'amore. Il Genoa che è tornato in B ci resta un anno di troppo, alla fine saranno due anni di purgatorio. Due anni durerà un'altra storia d'amore prima di sciogliersi per sempre in altre note splendide. Definitive. Scolpite... Giugno '73. (…)
Il Genoa sono otto anni che manca dalla serie A. Adesso è il 1973. Sta per essere giugno. (..) Tutto sta per compiersi. Marassi, stadio Luigi Ferraris, 17 giugno 1973, Genoa-Lecco. (…) La gente non entra per quanto è già entrata. E' il popolo rossoblu. Esiste, non è un concetto astratto, non piacerebbe altrimenti a Faber l'anarchico. (…) C'è. Giugno '73. La partita inizia nel pomeriggio, ma al mattino lo stadio è un catino. La gente è alle finestre. Il pallone scende dal cielo, non è una metafora del cazzo, il pallone lo portano i paracadutisti che piombano veloci a centrocampo. Il cielo è abitato quel giorno. E' pieno di palloncini rosso e blu, se andate su Youtube e vi fate aiutare da qualcuno della Nasa potete vedere in controluce, in filigrana, anche qualche Grifone in giro per l'aere quel giorno.

C'è traffico in città, attorno e lungo Marassi fino a Piazza de Ferrari ci sarà una processione senza soluzione di continuità. C'è un uomo nudo completamente dipinto di rosso e blu in tribuna, c'è un volo di colombe bianche (…) una bambina guida la banda con una bandiera rossoblu, è amor sacro e basta, tre bandieroni giganteschi sventolano sui pennoni della tribuna, qua e là, sopra e sotto tutte bandiere. Se ne vede una meglio delle altre in tribuna, è con la Stella. Si vede una Stella. E' il calcio con la scritta Campari, la squadra entra in campo e si fa carezzare dalle stoffe al vento, va sotto la Gradinata Nord, saluta, si fa la foto dentro la porta, il Genoa torna in serie A. Allora Fabrizio De André potrà lasciare Genova per sempre. Per un motivo o per l'altro non riuscirà più ad andare a vedere il Genoa. E' il 17 giugno. Giugno '73. E' stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati".

Da: Il Grifone fragile

De André, poeta con il Genoa nel cuore

Fabrizio De André ha amato molto la musica, la poesia, la sua famiglia. E il Genoa. A spulciarne la produzione musicale non si trova traccia di questo suo amore viscerale, e non è una contraddizione. È proprio perché l'amore per la sua squadra era troppo profondo e lo coinvolgeva fin nell'intimo che il cantante genovese non è mai stato in grado di scriverne e di trasformarlo in musica: non c'era la distanza sufficiente, «Perché per fare canzoni bisogna conservare il giusto distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo». De André se n'è andato nel 1999, ed è stato cremato con addosso la sciarpa rossoblù. La Gradinata Nord, la parte più tosta della tifoseria genoana, ha fatto di una delle canzoni dell'artista, la struggente Creuza de ma, il suo inno calcistico, cantato sventolando la bandiera col profilo di Faber. Un legame forte, un vincolo indissolubile: «Sono nato genoano", scrive nelle sue agende il cantautore ligure, come se il Genoa lo portasse nel sangue. Questo grande amore è racchiuso nei ricordi di chi De André l'ha conosciuto e sapeva bene che nelle domeniche di campionato la sua domanda più frequente, se non poteva seguire direttamente la partita, era «Cossa l'ha faetu o Zena?», cosa ha fatto il Genoa? Lo chiedeva persino ai suoi carcerieri nei lunghi mesi del sequestro, suo e della moglie Dori Ghezzi, nel 1979: un appiglio alla vita reale, quella fuori dall'Hotel Supramonte, la canzone che parla proprio della terribile reclusione sarda. «Ho una malattia», dichiarò durante uno dei suoi concerti, facendo ammutolire il pubblico. Poi tirò fuori la sciarpa rossoblù e aggiunse: «La mia malattia si chiama Genoa». Il tifo per il Genoa è anche di più, è una «fede laica», scrive De André fra gli appunti che hanno servito da guida al giornalista romano Tonino Cagnucci per scrivere questo libro di sport e di poesia: Il Grifone fragile. Fabrizio De André: storia di un tifoso del Genoa (Lìmina, 16,90 euro). Il Grifone è il simbolo del Genoa ma è anche Fabrizio De André: la forza del leone, tutta racchiusa nelle parole delle sue canzoni-poesie; il vigore dell'aquila, dentro la sua musica. E la fragilità d'artista, pazzo d'amore per la sua squadra del cuore.

Articolo di Annalisa Celeghin per La Tribuna di Treviso

domenica 16 giugno 2013

Fabrizio e la Juventus

Dai diari:
"Le battute da vitellone di Agnelli. Tipo: "Serena è un giocatore dalla cintola in su". Oppure: "Lo stadio di Torino è troppo grande per Barros, si rischierebbe di non vederlo". Sono battute da NUOVO RICCO fra il cinico ed il villano, ma in effetti, pensandoci bene, la famiglia Agnelli è ricca da due generazioni soltanto. Ma sempre in famiglia , la battuta migliore è stata quella di Edoardo dopo il massacro di Heysel: "Speriamo che diano partita vinta alla Juve"... Non per niente la logica del profitto prevede che ci siano dei ricchi che vivono sulle spalle dei poveri, voglio dire che senza i poveri i ricchi non potrebbero esistere".

Da Il Grifone fragile, pag. 137

giovedì 13 giugno 2013

Il Grifone fragile di Tonino Cagnucci

Scrivere un libro su un tifoso non è usuale (almeno io non ne ricordo altri). Scrivere un libro su un tifoso “dentro”, non su qualcuno che del tifo ha fatto dimostrazione pubblica d’identità, è inusuale e difficile. Si può scadere troppo facilmente nell’immaginato.

Cagnucci invece, da verace giornalista, ne “Il Grifone fragile” trova la chiave di volta, gli appunti privati di Fabrizio De André, dove quel tifo non (o poco) detto diventa evidenza nero su bianco, dalla quale costruire il tema.

Leggendo quell’agenda del Credito Lombardo, Cagnucci si è trovato di fronte a pagine molto diverse: su alcune un ragazzino di quinta elementare segnava con accuratezza pre-onanistica squadre e medie inglesi del campionato del Genoa, in altre ha trovato vette di genio e poesia dalla grandezza irraggiungibile (c’è un intellettuale oggi che puó scrivere/comprendere/ farci comprendere “La domenica delle salme”?)

Cagnucci da qui ha dedotto la prima verità del libro, Geno(v)a è casa, gli amici di casa Repetto, una città divorata e poi raccontata per vissuto e non per sentito dire. Questo mondo non vedrà mai il poeta che canta, ma a viverci dentro sarà per sempre il ragazzino che sogna. Si lavora a Milano e si sogna a Genova, con il Genoa che fa da desiderio mai infranto.

Seconda verità: questo è un libro su un tifoso vero, dalla passione assoluta. De André è un tifoso vero del Genoa, non perché si identifica nelle prassi domenicali dello stadio o di 90° minuto (e di Sky a tutti i costi anche se c’è di meglio da fare), ma perché ha in testa quel rumore di fondo che non ti lascia mai in pace, un tarlo ripetitivo e cercato: “Cosa ha fatto il Genoa?” 

Terza verità del libro: il genio è sempre popolare. Per quanto nasce in una famiglia della medio-alta borghesia, è nelle passioni popolari che deve immergersi per conoscere i rimbalzi dell’esistenza. Senza questa scuola terribile potrai arrivare in alto, lì dove tutti guardano e ammirano, ma non raggiungerai mai vette inattese.

Una postilla almeno sullo stile: denso da tenerti contro il libro, vallonato come una tappa tra Emilia e Toscana, quando non stai mai fermo, non ti rilassi mai. Dentro ci sono studio, letture e grande amore per il tema. Quando ami davvero le parole non riesci a tenerle a bada tanto facilmente e va a finire che si infilano senza permesso nei periodi piani che vorresti portare a termine. Quando questo succede è sempre un bene, è la meraviglia della passione che zittisce il cervello. 

Iniziate a parlare o a scrivere di qualcosa che vi piace davvero tanto e capirete quanto è bello.


Articolo di Jvan Sica per Letteratura Sportiva

Gigi Meroni

"Era innamorato di Meroni, di Meroni Fabrizio ne parlava sempre".  (Dori Ghezzi)

Meroni è stato un poeta in campo, coi suoi dribbling sghembi, con le sue corse con le ali troppo grandi per non inciampare negli ostacoli messi da chi striscia, col suo andare girovago secondo fantasia e non secondo la bussola, dentro, sopra, sotto e fuori dal campo. Gigi Meroni aveva sconvolto la morale pubblica non tanto perché andava in giro con la gallina al guinzaglio, per l'abbigliamento e il look eccentrico, perché dipingeva, perché nessun difensore della pubblica ottusità riusciva a fermarlo, piuttosto per essere andato a convivere con una donna sposata con un regista romano ma separata di fatto. Quello era stato il suo più grande tunnel a uomini e a donne di buona volontà di questo mondo. Gigi Meroni è stato l'amico fragile di Fabrizio De André e di chiunque sia innamorato del mare, di un gabbiano e di una vecchia storia misteriosa o sporca di una spiaggia qualunque. Di chi un giorno s'è detto di non volersi mai abituare all'abitudine, di chi per abitudine ha deciso di essere sconveniente, cioè di mantenere viva sempre la scintilla contro la convenienza, l'opportunità, il conformismo. Di chi alle geometrie preferisce il caos stellare che c'è dentro un dribbling.
 
De André ha sempre visto in Gigi Meroni un corrispettivo anarchico in quella Via del Campo di Marassi, sulla cattiva strada che va dagli spogliatoi alla vita, Gigi Meroni veniva da Como, era un Promesso Sposo, una promessa del calcio italiano che aveva trovato in Genova la sua città ideale, per i carruggi, per gli odori, per i profili da numero 7 (tutta Genova è un numero 7 tra le montagne e le onde), per il mare. Quando venne venduto i tifosi del Genoa misero a ferro e fuoco la sede. De André ci rimase malissimo (tanto di scrivere di questa cosa ancora agli inizi degli Anni Novanta sul suo diarietto!), i portuali fecero le barricate per strada: il '68 a Genova è stato il butterfly effect del volo della farfalla granata. Così poi non diventa un caso che Gigi Meroni lascerà il Genoa per andare al Torino, lì dove tutto ebbe inizio nel cuore di Faber. Torino che significa Toro, un'altra grande storia di poesia, di tremendismo, di Superga, di leggenda, di verità, ma che significa anche il suo contrario: Agnelli, "La Stampa", la Fiat. Quando Gigi Meroni morirà, "La Stampa" farà una campagna contro i funerali in chiesa mentre dal carcere delle Nuove di Torino i detenuti raccoglieranno soldi per mandare fiori sulla bara. Gigi Meroni è una canzone di De André, un personaggio della sua vita e della sua fantasia, un uomo colorato per il quale ha tifato, qualcosa di più per essere dimenticato, un'ultima strofa, un epitaffio da mettere sulla sua personalissima Via del Campo di Marassi: un diamante che germoglia profumo e che se ne va a morire per sempre con la squadra del papà.

"Meroni fu un artista nel campo e nella vita... Da quell'anno il Genoa ha dovuto aspettare fino ad Aguilera per poter dire di avere un grande centravanti (a parte il baluginio di Pruzzo subito ceduto alla Roma). E sto facendo un grande complimento ad Aguilera"  (Fabrizio De André)

 Da Il Grifone fragile, pagg. 52-55

lunedì 10 giugno 2013

Genoani si nasce, non si diventa

"Fabrizio De André era genoano. Quando m'ha visto nel '68, in un locale, m'ha detto qualcosa tipo: "Vedete di tornare in serie A" (...) Lui non era ancora tutto quello che è diventato, ma era già famoso (...) Io ero una bestia, sono stato uno degli idoli della Gradinata Nord ma davanti a Fabrizio mi sono bloccato. L'ho rivisto anche molti anni dopo, pochi anni prima che morisse, quando ha tenuto un concerto nella sua Genova e gli ho donato una maglia. Mi ha sorriso, mi ha ringraziato, e mi ha ridetto la stessa cosa che mi disse trent'anni prima: "Belin, cerchiamo di vincere il campionato!" (...) Lui era genoano dentro, anche perché genoani si nasce, non si diventa. Che vuol dire? Te lo immagini un bambino che tifa Genoa? Ma quando vincerà? Non vincerà mai? E allora perché tifa Genoa? Perché è un marchio alla nascita, un destino".
Maurizio "Ramon" Turone.

da Il Grifone fragile, pagg 66-67

De Andrè e il suo Genoa



DE ANDRÈ E IL GENOA





Fabrizio De Andrè che si fa cremare con la sciarpa del Genoa; che confessa di tifare rossoblù «da prima della nascita», che chiede in una letterina a Gesù Bambino - tra un vestito da cow boy e i soldatini con il carro armato - una divisa da giocatore del Genoa; che annota con una scrittura attenta e chiarissima le formazioni del suo "Zena", le classifiche del campionato, i marcatori; che confessa in una intervista che durante il periodo del rapimento uno dei suoi giorni peggiori fu quando sentì alla radio che i rossoblù avevano perso a Terni. E' davvero un libro splendido, questo di Cagnucci - che già si era fatto apprezzare per una biografia su Daniele De Rossi - che coniuga due passioni, per il grande Faber e per il calcio. Un rapporto molto stretto, tra il cantautore poeta e il Genoa («non posso scrivere del Genoa perché sono troppo coinvolto, l'inno non lo faccio perché non mi piacciono le marce e perché niente può superare i cori della Gradinata Nord») che viene ricostruito attraverso le sue opere e le testimonianze di amici, parenti, protagonisti di quegli anni. Così Gianfranco Zigoni ostenta giustamente l'orgoglio di essere stato uno dei miti sportivi di De Andrè, mentre Paolo Villaggio - tifoso della Sampdoria - non si rassegna al credo genoano del grande amico e Dori Ghezzi ci parla di quando il suo Fabrizio ricordava con soddisfazione di «avere vinto nove scudetti». Tra canzoni ormai immortali e brani di interviste (la sua prima partita a Marassi? Genoa-Torino 2-3 del 1947), anche uno straordinario inserto fotografico inedito, con le pagine delle agende - conservate a Siena, nel Centro Studi De Andrè - dove erano raccolti pensieri sparsi sulle canzoni e sul calcio, e soprattutto sul suo Genoa.

IL GRIFONE FRAGILE; Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa; Limina Edizioni, 171 pagine, 16,90 euro.

Articolo di Massimo Grilli per il Corriere dello Sport


venerdì 7 giugno 2013

Wikipedia

E' bello capitare sulla pagina del Genoa Cricket and Football Club di Wikipedia e scorgere, proprio in apertura di pagina, questa frase:

« Al Genoa avrei scritto una canzone d'amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo. »
(Fabrizio De André[1])


Per poi andare a leggere le note di fondo pagina e trovarci:

1.^ Il Grifone fragile, pag.19

Grazie. A chiunque l'abbia fatto.

giovedì 6 giugno 2013

CALCIO E POESIA: "IL GRIFONE FRAGILE"

Un grifone che vola altissimo…potente e fragile nella sua perfezione.

L’attacco di un articolo è fondamentale e per inziare questo mi sono venute in soccorso le parole del grande Don Gallo, scomparso da poco: “Tre testi sono la mia guida nella vita: la Bibbia, la Costituzione e le parole scritte e intonate da Fabrizio De Andrè”. Tre testi che erano sul suo feretro, insieme alla sciarpa del Genoa. Il prete degli ultimi, Don Andrea. Il Cantante degli ultimi, Faber. Grifoni, il rossoblù tatuato sul cuore. Amici.


A raccontarci questo Fabrizio, a entrare in punta di piedi nel suo cuore genoano, a farci respirare l’atmosfera di un calcio che era arte e viveva di slanci e di voli, a parlarci del piccolo Bicio che sceglie la prima volta e per sempre di stare con chi è sconfitto, è la meravigliosa e talentuosa penna di Tonino Cagnucci

Già autore di Francesco Totti, dai pollici al cuore (2010, Limina) e di Daniele de Rossi.Il mare di Roma (2009, Limina), con la sua ultima creatura, venuta al mondo da qualche settimana, Il Grifone Fragile (Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa), Limina, riesce ancora una volta a incantare, trascinandoci nella vita, nei sogni, nelle letterine a Babbo Natale, nei diari, nelle storie di un Fabrizio De Andrè che giganteggia nella sua essenza di tifoso. E’ proprio uno di noi, lui, Faber.  

La grandezza di Cagnucci sta nel rendere poesia questo aspetto così normale e comune di un personaggio straordinario e non comune. Poesia.

Da quando il piccolo Bicio nasce in una domenica di febbraio del 1940, mentre si gioca la ventesima giornata del campionato di calcio e il Genoa (chiamato ancora Genova 1893), guidato da Mister Garbutt, è primo in classifica, ad un passo dalla sua stella, quella del decimo scudetto. “Da quel momento, dal giorno in cui è nato un Fabrizio De Andrè proprio piccoletto piccoletto in via De Nicolay 12, alle ore 12, il Genoa non è più stato primo in classifica a quel punto del campionato. Così primo. Così in testa. Così campione. Così vicino alla Stella non c’è stato mai più”. E’ un predestinato Fabrizio. 

Il giorno della sua nascita ma anche il giorno della sua prima volta allo stadio. Il papà Giuseppe ha cuore granata, così come il fratello Mauro. Il battesimo del pallone del piccolo Bicio, nemmeno sette anni, è un Genoa-Torino del ‘47, in cui Tonino Cagnucci ci trascina e ci fa vivere come se fossimo lì, anche noi con il popolo rossoblù, a scegliere di essere dalla parte degli ultimi, degli sconfitti, fregandocene del risultato. “Quando lo vedi per la prima volta (il Genoa, ndr), ti sembra la cosa più bella, quella squadra che perde ma che ha con sé la gente (…). De Andrè le cose grandi non le ha mai amate.”

Lì avviene la Scelta, il suo karma si compie: la partita sembra senza storia, all’85’ il Genoa operaio perde 3-0, ma in cinque minuti segna un gol, poi un rigore e poi all’ultimo secondo prende il palo. “E’ l’inizio dell’amore fra De Andrè e il Genova”.

E la letterina a Babbo Natale di Bicio del dicembre del 1948 né è testimonianza: tra i regali chiesti spicca “la divisa del giocatore del Genoa”.

C’è la vita di Fabrizio in queste pagine, col contrappunto musicale delle splendide poesie in musica di De Andrè. Ovunque ci sono le sue canzoni. La sua vita.

Ci sono i giocatori di cui calcisticamente si innamora: prima bambino di Verdeal negli anni ’40 e adolescente di Abbadie negli anni ’50; poi nel 1962, quando Fabrizio è già marito e padre di Cristiano, arriva Gigi Meroni, artista del pallone, primo amore calcistico consapevole, come ci racconta Cagnucci attraverso le parole di Dori Ghezzi. Amico di De Andrè, come “di chi alle geometrie preferisce il caos stellare che c’è dentro a un dribbling”, Meroni è la libertà. Così come la pazzia di Zigoni, altro grande, sempre sopra le righe, mai conformista. Ci sono gli allenatori: Scoglio, il professore; Bagnoli, l’operaio. Personaggi di un calcio che oggi sembra preistoria.


Tanti protagonisti e tante cose popolano questo libro, lo rendono vivo: Piero Repetto, professore di italiano paralizzato, e la sua casa, dove si ritrovavano per notti intere, per anni, calciatori, poeti, cantanti, attori, ma anche sbandati, pescatori, gli umili, gli ultimi. L’umanità. 

Pippo Spagnolo, capo-ultrà genoano. I vicoli, i carruggi di Genova, lo stadio di Marassi (Fabrizio non mancava una partita), l’amore per Ramon Turone, innamorato del Genoa, Capitano rossoblù, ammiratore di De Andrè, sognatore, simbolo di un calcio che non c’è più e che incendiava gli animi e li faceva volare. Non contava vincere, contava esserci, cantare, far volare il grifone. La Gradinata Nord. Il Mare. Dori Ghezzi. I figli. La terribile esperienza del sequestro in Sardegna, quei quattro eterni mesi vissuti con Dori in cui una delle pochissime consolazioni era chiedere cosa aveva fatto il Genoa.

E poi ancora Paolo Villaggio, amico fraterno sampdoriano, i New Trolls, Pasolini, Baccini. Tutte persone che ci svelano un Faber diverso, tutte testimonianze raccolte da Tonino Cagnucci che rendono questo libro prezioso e imperdibile.

La chicca sono i diari di Fabrizio, conservati dalla Fondazione a lui intitolata, a Siena. Sono agende, diari in cui, proprio come uno qualunque di noi, si trovano classifiche, formazioni, appunti, proiezioni di punteggi, incroci, domande e risposte, e quasi tutto rimanda ad un unico grande amore, mai esibito, mai declamato, mai cantato, ma sempre presente: il Genoa. E quella sciarpa rossoblù con cui ha voluto essere cremato.

“E’ il suo Genoa. E’ il Genoa che lo fa cantare. In un concerto a un certo punto dirà. Interrompendosi: <Scusate, vi devo dire una cosa…Ho una malattia>. Silenzio. Di tutti. Poi improvvisamente tira fuori una sciarpa rossoblù. La spiega. <E’il Genoa. La mia malattia si chiama Genoa>. Tifa. Tifa. Vive.”


Tonino Cagnucci sa scrivere, non c’è dubbio, prosa e poesia si mischiano in un’alchimia sempre gradevole, a tratti pregevole. Oltre a questo, è una persona umile, gentile e disponibilissima. Abbiamo fatto una bella chiacchierata sul suo libro.

Mi dice subito che la musica di Faber ha avuto un ruolo fondamentale nella sua vita, lo accompagna da sempre. E quando gli chiedo di scegliere tre titoli di canzoni per lui più significative mi risponde: “E’ come scegliere tra figli. Diciamo Il Testamento di Tito, Hotel Supramonte e Un malato di cuore. Ma ce ne sarebbero tante”.

-Hai trovato degli aspetti in comune tra Tonino tifoso e Faber tifoso? Un vissuto simile?-

Quello che sicuramente mi ha colpito sono le agende, i diari. Me lo rendono vicino nel senso che scrivere tabellini, probabili formazioni sul diario è ancora adesso un’abitudine. E anche De Andrè lo faceva anche da adulto”.

-Più in generale tifo romanista e tifo genoano possono essere accomunati?-

“Storicamente sì. Una volta eravamo gemellati. Certamente con il tempo le cose sono cambiate”

-Sei mai stato a Genova? Cosa hai respirato?-

“Sì, ci sono stato prima delle Colombiadi, e poi anche dopo. Sono stato a Via del Campo, e in tanti di quei posti e quei vicoli cantati da Faber. Amo le periferie, la Strada. A De Andrè, come a Don Gallo e a Pasolini, mi lega l’amore per gli ultimi. Ho avuto un’esperienza di vita in un campo nomadi, durante il servizio civile. Accompagnavo e riportavo a casa un gruppo di bambini rom, di etnia e lingua Romanesh (slavi), ed è stato un periodo molto intenso, in cui ho scoperto una cultura veramente forte, radicata. Un giorno ai bambini ho fatto sentire la canzone di Faber Khorakhanè, in cui una parte è cantata in romanesh…è stato un momento emozionante, si è subito fatto un gran silenzio nel pulmino, tutti ascoltavano. Questa canzone, insieme a Smisurata Preghiera, sono molto significative per me”

-Del rapporto di Fabrizio con Don Gallo mi sai dire qualcosa?-

“Guarda, mentre preparavo il libro ci dovevamo incontrare, ma già non stava bene. Ho una sua mail in cui mi ha scritto: Fabrizio è di tutti. Credo che sia stato e sia proprio così.”

-Come è stato accolto il libro dai tifosi del Genoa?-

“Il tifo di De Andrè a Genova non era certo un segreto, ma neanche i tifosi genoani sapevano che la sua passione per il grifone era così piena e forte. Ne sono rimasti colpiti anche loro. Fabrizio, come tutti i genovesi, era riservato, pudico: quello era il suo grande amore e non andava esibito. E invece ora ci sono 171 pagine che parlano di questo.”

-Leggendo di Meroni, di Zigoni, di quel calcio, mi sono chiesta se De Andrè avrebbe disprezzato quello che è diventato oggi il pallone. Tu che ne pensi?-

“Già negli ultimi tempi si era un po’ distaccato. Mi sento di dire che sicuramente si sarebbe allontanato ma sarebbe comunque rimasto irriducibilmente legato al nocciolo duro del suo essere tifoso. E si sarebbe schierato contro il calcio moderno e la tessera del tifoso. Lui era libero, era per la libertà.”


Un grifone vero, fragile e forte, capace di raggiungere picchi altissimi ma anche di volare basso.  Fabrizio De Andrè, un tifoso come tanti. Forse un poeta come nessuno.

Grazie a Tonino Cagnucci per avercelo regalato.

Articolo di Chiara Santucci per ilcaffevitruviano.it

Sky SPORT24 - Il Grifone fragile, intervista all'autore


Oggi sull'emittente televisiva Sky SPORT24 si è parlato de Il Grifone fragile. Ospite in studio l'autore e giornalista del quotidiano Il Romanista, Tonino Cagnucci.



mercoledì 5 giugno 2013

“Toglietemi pure la libertà ma ditemi cosa ha fatto il Genoa”


 La grande passione di De André per il “Grifone”, rievocata dal giornalista Tonino Cagnucci


Il 27 agosto del 1979 ebbe inizio una di quelle vicende di cronaca destinate a tenere tutta l’Italia incollata ai giornali. Alle nove e mezzo di sera vengono rapiti, dalla loro casa in Sardegna, Fabrizio De André e Dori Ghezzi. Saranno liberati il 21 dicembre dello stesso anno, dopo quasi quattro mesi di prigionia e isolamento quasi totale. Quasi. Lo racconta Dori Ghezzi: «Noi in prigionia praticamente non potevamo fare nulla, non ci davano la possibilità né di leggere i giornali, né di ascoltare la radio. Però se il Genoa vinceva o perdeva quello ce lo dicevano. Perché? Perché lo chiedeva Fabrizio! ‘Ditemi che ha fatto il Genoa’. Era una delle poche soddisfazioni che c’erano concesse».

«Dimme n’ po’: cossa l’ha faetu o Zena?». Ce le racconta Tonino Cagnucci, giornalista e tifoso della Roma, questa e altre storie, in un volume appena uscito per i tipi di Limina: Il Grifone fragile. Fabrizio De André: storia di un tifoso del Genoa. Cagnucci ha setacciato l’archivio del Centro Studi De André, che sta all’università di Siena: lì ci sono appunti, lettere e letterine, fogli volanti, soprattutto storie, per chi ha voglia di leggere. E questa storia d’amore, un po’ segreta, destinata a conquistare gli appassionati di De André e gli appassionati di calcio, ma anche e soprattutto quelli che vorranno scoprire uno dei modi di amare del cantautore più celebrato del secolo scorso. La fragilità è spesso il versante più suggestivo e poetico di molti sport, senz’altro più convincente, per i lettori ma anche per certi tifosi, del risvolto muscolare che ha colonizzato specialmente in tempi recenti il calcio e non solo. È l’amore per quel che è fragile che ci fa appassionare a Garrincha e a Van Basten, a Marilyn Monroe e Kurt Cobain, a Zigoni e Meroni, per tornare a Genova e al Genoa, la squadra che da quasi un secolo “va per uno”. Ce ne ha parlato De André, con le sue canzoni e il suo modo di essere, e oggi ce ne parla questo libro che, nella vastissima agiografia dedicata all’artista, si segnala per originalità e poesia, nel rammentarci che “spesso l’amore più grande è nascosto”.


Articolo di Francesco Zardo per La Èco del 04.06.2013

Gli allenatori di De André

A guidare il Genoa invece c'è un Professore, Franco Scoglio, laureato in Pedagogia, che s'innamora subito del Grifone e si convince presto che Gesù è rossoblu, che non ha paura di dire di "odiare la Sampdoria" e non perde occasione per ribadirlo, che considera "la sconfitta una libidine perché mi fa assaporare stimoli ineffabili" che "nella mia vita ho subito microtraumi da libri" forse perché ama la poesia di Giacomo Leopardi visto che è "chiara e indecifrabile". Un Professore che un giorno dirà: "Morirò parlando del Genoa". Succederà. De André se ne occupa e se ne preoccupa. In questa Italia degli stereotipi e che si sta per fare il lifting con un ghigno di plastica, da Scimmia del IV Reich, il volto del Grifone è un poetico musone. (...)

"Il Genoa è una cosa particolare, ha un Dio tutto suo... Io prego la sera perché Gesù mia dia una squadra per battere la Sampdoria" (Franco Scoglio).

"L'unica preoccupazione che mi dà Scoglio è che mi pare di non averlo mai visto ridere" (Fabrizio De André).

da Il Grifone Fragile, pagg. 141 e 120

martedì 4 giugno 2013

Carlo Odorizzi e quel gol per un De Andrè tornato libero


Chi l'avrebbe detto che Carlo Odorizzi, "Motorizzi", il mediano faticatore della Val di Non, artefice di esaltanti campionati in B con Genoa, Verona, Arezzo, Sambenedettese e in campo anche con il Bolzano - eppure mai "salito" in A - è collegato, per le coincidenze imperscrutabili che costellano gli umani accadimenti, a Fabrizio De André? Ebbene, terminata la raccomandabile lettura di un libro originale e documentato come pochi, raccontiamo del 23 dicembre 1979, stadio Luigi Ferraris. Genoa-Taranto 2-1. Il primo gol dei rossoblu, al 25' del primo tempo, lo segna proprio Odorizzi (è una delle cinque reti che metterà a segno nelle 98 partite giocate al cospetto della Lanterna). Ad arbitrare la partita è Lo Bello di Siracusa che espelle i due allenatori (Di Marzio e Seghedoni) e ben sei raccattapalle per aver "trattenuto indebitamente il pallone". Direte: De André, dove sta? Fabrizio De André, cantautore eterno, tifoso del Genoa nel senso più assoluto e totalizzante, era libero da 24 ore. Il giorno prima infatti era stato rilasciato dai sequestratori che l'avevano tenuto prigioniero per mesi in Sardegna, "Hotel Supramonte", insieme alla moglie Dori Ghezzi. La prima partita del suo Genoa, una volta liberato, fu quella. Ed è certo che volle sapere subito risultato e marcatori. Perché questo si scopre, sfogliando e avidamente leggendo "Il Grifone fragile", il libro scritto da Tonino Cagnucci (Lìmina edizioni) tutto dedicato allo straordinario rapporto tra Faber e il Genoa. No, non fu un tifoso sui generis, De André. E il libro, lungo 170 pagine ricche di episodi, testimonianze, tabellini di partite - quelle che coincidono con i momenti più importanti della vicenda umana del cantautore - lo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio. Per non parlare dell'inserto fotografico esclusivo: le riproduzioni di alcune pagine delle agende di De André. Dove, con penna biro rossa e blu, il cantautore/poeta era solito scrivere formazioni, classifiche, risultati, statistiche del "suo" Genoa. Quel che non fece, De André, è scrivere una canzone, dedicata al Genoa. Disse: "Per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo".


dall'articolo di Carlo Martinelli per il quotidiano Alto Adige del 26.05.2013

lunedì 3 giugno 2013

Ho una certa reticenza nell'identificarmi con chi vince

"Come sono diventato tifoso del Genoa? Subito dopo la guerra mio padre mi portò insieme a mio fratello allo stadio Marassi per una partita Genoa-Torino. Mi ricordo che quasi subito, forse per una sorta di antagonismo precoce, mi scoprii genoano contro mio padre e mio fratello che erano accesi tifosi torinisti. Mi pare che il Genoa avesse anche perso e in questo senso anticipai una mia tendenza che si sarebbe poi rivelata frequentando le scuole medie: ho sempre avuto un debole per i troiani e una forte antipatia verso gli achei e in questo senso sono confortato dall'opinione che anche il vecchio Omero la pensasse così, malgrado fosse probabilmente greco. Ho una certa reticenza nell'identificarmi con chi vince"

da Il Grifone fragile, pag. 28