Il 26 maggio 1991 il Genoa conquista una storica qualificazione alla
Coppa Uefa. Il giorno dopo alla sede del Grifone viene recapitato un
telegramma: "Grazie di cuore a Spinelli Bagnoli gli atleti e a tutti
quanti hanno contribuito direttamente e indirettamente al ritorno del
Genoa ai massimi livelli internazionali". Il mittente è Fabrizio De
André. La sua accanita, incrollabile e profonda fede rossoblù, ignorata
dalle biografie ufficiali ma ben nota ai correligionari (che prima di
ogni partita intonano Crêuza de mä), stupirà quei poveri di spirito che
ritengono il tifo un trastullo inadatto agli intellettuali e agli
artisti. Tutti gli altri ringrazieranno Tonino Cagnucci per avere
raccolto ne Il grifone fragile (ed. Limina) alcune strepitose pagine
autografe che documentano la passione calcistica di De André. C'è
un'agenda del Credito Lombardo del 1988, in particolare, che farebbe
invidia a Nick Hornby: i risultati della Serie A e le classifiche
aggiornate, di domenica in domenica, con il computo delle reti segnate e
subite e della media inglese. Una quantità impressionante di
statistiche, annotate con la precisione maniacale del ragazzino che si
dedica al suo hobby preferito: la classifica dei marcatori, l'elenco dei
diffidati, le gare da disputare in trasferta, con tanto di previsioni
partita per partita e di auspicio finale: "Ci si salva a 27". E ancora:
grafici di formazioni schierate alla vecchia maniera, con il libero
dietro (Signorini, ovviamente) e i numeri da 1 a 11. C'è persino un
personalissimo fantamercato, che riporta ordinatamente acquisti,
cessioni e le ipotetiche quotazioni dei giocatori: in una di queste
formazioni immaginarie militano Alemao, Matteoli, Pusceddu (scritto
Puxeddu, alla maniera sarda), in un'altra Ferri, Alejnikov e Zavarov.
Non manca una formazione dei sogni, una prefigurazione del fantacalcio
prossimo venturo, al quale è facile ipotizzare, a questo punto, che De
André si sarebbe appassionato: Cusin, Mazinho, Baresi, Ferri, Branco,
Alemão, Rijkaard, Gullit, Hässler, Casiraghi, Baggio. Del resto De
André, come tutti noi, aveva contratto il morbo da piccolo: in una
lettera a Gesù Bambino chiede, tra i tanti doni, anche "la divisa da
giocatore del Genoa". E da tifoso viscerale si sarebbe sempre
comportato, come racconta il sampdoriano Ivano Fossati: "Personalmente
ho più cara nei miei ricordi la parte di lui che lo faceva parlare
basso, da buon genovese a un altro genovese a un altro genovese. Niente
lessico da libro stampato, nessun massimo sistema, ma frequenti
risultati di partite di calcio. Il Genoa". è la prima delle tante
testimonianze che impreziosiscono Faber è solo rossoblù (ed. Galata),
scritto con evidente passione da Fabrizio Calzia e Laura Monferdini, che
hanno incontrato persone molto vicine a De André. Anzi, vicinissime,
come Dori Ghezzi: "Quando ci conoscemmo negli anni negli anni Settanta e
io lo sfottevo, lui ribatteva sempre con massima serietà e altrettanto
puntiglio che il Genoa aveva nove scudetti, né più né meno del mio
Milan...". "Lontano da Genova o da casa", ricorda invece il figlio
Cristiano, "penava tutto il pomeriggio della domenica fino a quando non
gli dicevano il risultato". Un tifoso vero, innamorato di Riva, di cui
volle diventare amico, e di Meroni, che non perdeva occasione di
ricordare. E, come ogni tifoso, sentiva più di ogni altra cosa la
rivalità cittadina: in una delle prime interviste si augurava
addirittura "l'eliminazione della Sampdoria"; vent'anni più tardi
avrebbe commentato così una performance canora di Gianni Minà,
arrischiatosi a stonare Crêuza de mä in diretta televisiva: "L'hai
cantata da sampdoriano!”.
Valerio Rosa
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