martedì 26 maggio 2015

Inedito: il fantamercato del genoano De André

La sua accanita, incrollabile e profonda fede rossoblù stupirà quei poveri di spirito che ritengono il tifo un trastullo inadatto agli intellettuali e agli artisti


Il 26 maggio 1991 il Genoa conquista una storica qualificazione alla Coppa Uefa. Il giorno dopo alla sede del Grifone viene recapitato un telegramma: "Grazie di cuore a Spinelli Bagnoli gli atleti e a tutti quanti hanno contribuito direttamente e indirettamente al ritorno del Genoa ai massimi livelli internazionali". Il mittente è Fabrizio De André. La sua accanita, incrollabile e profonda fede rossoblù, ignorata dalle biografie ufficiali ma ben nota ai correligionari (che prima di ogni partita intonano Crêuza de mä), stupirà quei poveri di spirito che ritengono il tifo un trastullo inadatto agli intellettuali e agli artisti. Tutti gli altri ringrazieranno Tonino Cagnucci per avere raccolto ne Il grifone fragile (ed. Limina) alcune strepitose pagine autografe che documentano la passione calcistica di De André. C'è un'agenda del Credito Lombardo del 1988, in particolare, che farebbe invidia a Nick Hornby: i risultati della Serie A e le classifiche aggiornate, di domenica in domenica, con il computo delle reti segnate e subite e della media inglese. Una quantità impressionante di statistiche, annotate con la precisione maniacale del ragazzino che si dedica al suo hobby preferito: la classifica dei marcatori, l'elenco dei diffidati, le gare da disputare in trasferta, con tanto di previsioni partita per partita e di auspicio finale: "Ci si salva a 27". E ancora: grafici di formazioni schierate alla vecchia maniera, con il libero dietro (Signorini, ovviamente) e i numeri da 1 a 11. C'è persino un personalissimo fantamercato, che riporta ordinatamente acquisti, cessioni e le ipotetiche quotazioni dei giocatori: in una di queste formazioni immaginarie militano Alemao, Matteoli, Pusceddu (scritto Puxeddu, alla maniera sarda), in un'altra Ferri, Alejnikov e Zavarov. Non manca una formazione dei sogni, una prefigurazione del fantacalcio prossimo venturo, al quale è facile ipotizzare, a questo punto, che De André si sarebbe appassionato: Cusin, Mazinho, Baresi, Ferri, Branco, Alemão, Rijkaard, Gullit, Hässler, Casiraghi, Baggio. Del resto De André, come tutti noi, aveva contratto il morbo da piccolo: in una lettera a Gesù Bambino chiede, tra i tanti doni, anche "la divisa da giocatore del Genoa". E da tifoso viscerale si sarebbe sempre comportato, come racconta il sampdoriano Ivano Fossati: "Personalmente ho più cara nei miei ricordi la parte di lui che lo faceva parlare basso, da buon genovese a un altro genovese a un altro genovese. Niente lessico da libro stampato, nessun massimo sistema, ma frequenti risultati di partite di calcio. Il Genoa". è la prima delle tante testimonianze che impreziosiscono Faber è solo rossoblù (ed. Galata), scritto con evidente passione da Fabrizio Calzia e Laura Monferdini, che hanno incontrato persone molto vicine a De André. Anzi, vicinissime, come Dori Ghezzi: "Quando ci conoscemmo negli anni negli anni Settanta e io lo sfottevo, lui ribatteva sempre con massima serietà e altrettanto puntiglio che il Genoa aveva nove scudetti, né più né meno del mio Milan...". "Lontano da Genova o da casa", ricorda invece il figlio Cristiano, "penava tutto il pomeriggio della domenica fino a quando non gli dicevano il risultato". Un tifoso vero, innamorato di Riva, di cui volle diventare amico, e di Meroni, che non perdeva occasione di ricordare. E, come ogni tifoso, sentiva più di ogni altra cosa la rivalità cittadina: in una delle prime interviste si augurava addirittura "l'eliminazione della Sampdoria"; vent'anni più tardi avrebbe commentato così una performance canora di Gianni Minà, arrischiatosi a stonare Crêuza de mä in diretta televisiva: "L'hai cantata da sampdoriano!”.

Valerio Rosa