lunedì 22 luglio 2013

De André, un genoano

La squadra del cuore è la colonna sonora della vita. Non cambia mai e ti accompagna sempre. E il Genoa è stato la colonna sonora di uno che, a sua volta, è stato la colonna sonora per tanti: Fabrizio De André.

Che fosse genoano si sapeva, ma quanto e come lo fosse lo ha svelato il nostro Tonino Cagnucci nel suo ultimo libro. Si chiama “Il grifone fragile – Fabrizo De André, storia di un tifoso del Genoa” (Limina, 171 pagine, 16.90 euro) e potrebbe essere definito una biografia doppia, perché intreccia due vite: quella del cantautore e quella della sua squadra del cuore. Ma in realtà cercando una categorizzazione non si rende giustizia a un'opera che è un incontro di voci, sentimenti e storie che non possono non coinvolgere anche chi non è del Genoa e chi non è appassionato di De André. C'è anche un po' di Roma, con le parole di Turone e Zigoni. «La maglia del Genoa è una maglia di De André – dice “Zigo” - Ci sono maglie e maglie nel calcio, simboli e simboli. Secondo me tre sono più maglie di altre. Sono le maglie del Genoa, del Tori e della Roma, squadre espressioni del popolo, col rosso dei cuori, con gente sanguigna che se ne innamora». E Faber, figlio di un tifoso del Torino e genoano, se fosse nato a Roma sarebbe stato della Roma. Lo si può affermare con certezza dopo aver letto della sua avversione per la Juventus degli Agnelli («Ho una certa reticenza nell'identificarmi con chi vince»), espressione della logica del profitto, o per il Milan «plutocrate e pluridecorato». Lo striscione “Chi tifa Roma non perde mai” avrebbe potuto idearlo lui, nato nell'ultimo giorno in cui il Genoa è stato primo in classifica e “battezzato” allo stadio in un Genoa-Torino del 1947.

«Questa squadra che perde ma che ha con sé la gente». Sul 3-0 per il Torino, all'85', il Genoa segna due gol e prende un palo. Lui s'innamora dei rossoblù e così inizia questa biografia sì, doppia, ma non duplicata, perché le vite di De André e le vicende del Genoa non solo s'intrecciano, ma diventano la stessa cosa, insieme alle poesie in musica di Faber. Come quella bandiera che sventola in Gradinata Nord col ritratto del cantautore genovese. «Quindi genoano, perché Genova è il Genoa». Sì, sarebbe stato della Roma ma non ne avrebbe scritto un inno, come non lo ha fatto per la sua squadra. «Per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo». Un insegnamento più che mai attuale per questi tempi romanisti. Perché se una canzone diventa un inno lo decide la gente, non chi l'ha scritto. I genoani hanno scelto la sua “Crueza de' ma”, che non parla del Genoa ma che è scritta in genovese, quindi in genoano.

Quanto lo coinvolgesse, lo raccontano Dori Ghezzi, i già citati Zigoni e Turone, Francesco Baccini, il capo storico dei tifosi del Genoa Pippo Spagnolo, un Gigi Riva degnissimo rappresentante dell'altro amore di De André, la Sardegna, e un Paolo Villaggio talmente sampdoriano da non accettare che si parli di De André come di un genoano. Ma scorrendo queste pagine tifose, quindi vere, ci trovi anche Pier Paolo Pasolini e Gigi Meroni (Genoa e Torino, appunto), simbolo di quella libertà che vola sopra a qualsiasi cosa. Anche sopra i vicoli di Genova, dove scorrendo nel libro ti sembra di perderti, o sopra lo stadio Ferraris, dove De André accompagna il Genoa in ogni partita. Non solo lì, perché poi ci sono anche le trasferte con un amico, tale Pinelli, forse anarchico, malato di diabete che ogni tanto deve fermarsi per un'iniezione d'insulina. Fino al “Giugno '73”, il capitolo più coinvolgente del libro: De André si separa dalla prima moglie e lascia Genova.

Ma non poteva lasciare la sua squadra in B e così l'ultima partita allo stadio diventa quella della promozione in A. Poi la separazione. Dalla prima moglie e dal Genoa. Ma non dall'amore. Lo ritroverà in Dori Ghezzi e durante il rapimento ai rapitori chiederà i risultati delle partite dei rossoblù. Il libro è pieno di queste corrispondenze e di veri e propri tesori, come la lettera a Gesù Bambino in cui un giovanissimo Fabrizio chiede una maglia del Genoa e diari che contengono formazioni del Genoa, tabelle-salvezza, l'elenco degli squalificati delle squadre con cui i rossoblù avrebbero giocato la domenica successiva, ogni passo del Genoa annotato in maniera maniacale.

Tutte le emozioni del tifoso, della persona, del poeta De André crescono e vengono fatte crescere dalla penna dell'autore, la cui abilità è quella di riuscire fin dall'inizio a traccare un percorso da cui è difficile staccarsi. Sia perché coinvolge in maniera totale il lettore, sia perché ti dà la sensazione che tutto sia destinato a compersi all'arrivo. Ed è quasi appagante scoprire che è veramente così nell'ultimo capitolo, struggente ma che ti lascia un retrogusto dolce, di una storia che non è sul calcio ma che non puoi dire che sia “solo” sul calcio. Perché il calcio non è mai “solo” il calcio, è quella «fede laica che nasce da un bisogno infantile ma pure sempre umano». Ce l'ha insegnato Fabrizio De André.

Luca Pelosi per il quotidiano "Il Romanista" del 21.07.2013

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