I conflitti familiari, l’alcol, l’assenza: esce l’autobiografia di Cristiano De André
«Lui ha avuto problemi nell’infanzia, poi li ha avuti con me ed io con i miei figli»
«Lui ha avuto problemi nell’infanzia, poi li ha avuti con me ed io con i miei figli»
C’è un Fabrizio De André artista.
E un Fabrizio De André privato. Tanto grande indiscutibilmente è stato
il primo, quanto discusso è stato il secondo. A metterli a confronto è
il figlio Cristiano. Che sta per pubblicare la propria autobiografia La versione di C.
(Mondadori) e a ripartire in tour con il progetto «De André canta De
André». Le pagine scritte da Cristiano sono spesso crude. Racconta dei
suoi trascorsi con l’eroina e l’alcol, di quando ha alzato le mani sulla
moglie, del rapporto altalenante con i figli. «È stato terapeutico. Mi
sono denudato, avevo bisogno di fare pace col passato e vincere dei
fantasmi». Il musicista 53enne (C. era il soprannome coniato dal
genitore) non risparmia nulla nemmeno al padre. Racconta di quanto sia
stato assente, di quanto poco lo vedesse causa la sua attitudine al
lavoro notturno e l’andare oltre con la bottiglia, di quanto fosse avaro
sentimentalmente. Aneddoto: quando nel 1993 arrivò secondo a Sanremo lo
chiamò: «Questa è la seconda soddisfazione che mi dai dopo il dentice
pescato a sei anni! Complimenti, C., sono orgoglioso di te». «Alla fine
però esce il senso del perdono. Che c’era già stato con lui ancora in
vita. Essere padre non è nel Dna di tutti. Lui ha avuto problemi
nell’infanzia e nell’adolescenza, li ha poi avuti con me e io li ho
avuti con i miei figli». Dopo anni turbolenti ci fu il riavvicinamento,
quando Fabrizio gli chiese di suonare e di firmare degli arrangiamenti
per il tour di «Anime salve». «Anche se tardi e col contagocce, ho
sentito il suo orgoglio».
Il peso del cognome, la droga...
erano solo accenni del testo di «Invisibili», portata a Sanremo 2014.
«La canzone ti protegge, è uno scudo. In un’autobiografia è diverso.
Devi scrivere tutto. Il coraggio di farlo me lo ha insegnato la coerenza
di papà, il suo essere controcorrente». Il peso di essere figlio d’arte
l’ha sentito. «C’è gente che ti sottolinea di continuo quanto lui fosse
un genio e quanto tu non lo sia. Non avevo quella creatività che aveva
lui come cantautore, ma sapevo che avrei fatto il musicista. Ho studiato
al Conservatorio, ho fatto la gavetta e oggi ho più sicurezza in me».
Faber ha debuttato 50 anni fa con «Tutto Fabrizio De André», album con
brani che hanno fatto la storia della canzone italiana come «La guerra
di Piero», «Via del Campo» e «La canzone di Marinella». Saranno
l’ossatura del nuovo tour, il terzo, «De André canta De André», debutto
il 24 giugno dalla Cavea dell’Auditorium di Roma. «Non coverizzo mio
padre, proseguo il suo lavoro portandolo a chi lo ha amato e alle nuove
generazioni che non l’hanno potuto vivere direttamente». Quei brani
erano densi di messaggi forti. «Ha anticipato i tempi. È stato un punto
di appiglio nel vuoto esistenziale, nel nulla che si è amplificato con
l’idea che la felicità si possa comprare, che ci sia un dio filigranato
davanti cui inginocchiarsi, una sottocultura figlia del berlusconismo.
Oggi direbbe le stesse cose di allora».
Bilancio finale. Come è stato essere figlio d’arte di Faber? «Poteva andare peggio... I confronti li lascio a chi ne ha bisogno». Ed essere stato figlio di Fabrizio De André? «Adesso sono finalmente in pace».
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