Quando Maria Callas incontrò Pier Paolo Pasolini per girare Medea era
una diva secondo alcuni ormai sul viale del tramonto, ma ancora in
primissimo piano come personaggio da rotocalco. L´armatore greco
Onassis, con cui aveva vissuto per nove anni, l´aveva lasciata per
sposare la vedova Kennedy con uno sciame di pettegolezzi praticamente
infinito. «Nove anni di sacrifici inutili», aveva commentato lei.
L´incontro con Pasolini era stato propiziato da Franco Rossellini che
con Marina Cicogna avrebbe prodotto il film: la Callas poteva essere
un´ottima Medea e naturalmente un formidabile aiuto per un successo
internazionale. Pasolini non era mai stato un frequentatore di teatri
d´opera. Aveva visto un Trovatore a Bologna, quando aveva diciotto anni e
non si era entusiasmato. Molti anni dopo, un Rigoletto visto a
Caracalla con Ninetto Davoli gli era piaciuto, ma questo non cambiava
niente. Nico Naldini dice che confondeva Cherubini con Boccherini.
Gli piaceva la musica classica che ascoltava in casa sua o da Elsa
Morante che aveva una discoteca molto ben scelta, ma molto meno l´opera.
Comunque della Callas voleva tutto meno la cantante o la diva: gli era
piaciuto il viso, che rimandava a una realtà contadina primigenia, un
viso addolcito dai trascorsi borghesi, ma molto intenso e vero. Pasolini
disse a un certo punto che la Callas aveva la stessa verità di un
Franco Citti preso dalla strada, come se dalla strada e non dal
palcoscenico venisse anche lei. L´avrebbe ripresa con dei lunghi primi
piani, mentre lei, che aveva avuto come regista anche Visconti, era
abituata a stare in scena con il pubblico a una certa distanza. Le
avrebbe spiegato la differenza tra il cinema e il teatro nella lettera
ritrovata ed esposta in questa mostra in casa Testori a Novate, una
lettera scritta dopo una giornata di lavoro insieme sul set, quando
aveva notato in lei il turbamento per non essere stata pienamente
padrona di sé e del suo corpo. «Questo stringimento al cuore lo proverai
spesso, durante la nostra opera: e lo sentirò anch´io, con te. È
terribile essere adoperati, ma anche adoperare».
Il cinema, le spiega ancora nelle righe successive, è fatto così: una
frantumazione della realtà che poi viene ricomposta «nella sua verità
sintetica assoluta». Medea fu un film faticoso: le riprese in
Cappadocia, che figurava come l´antica Colchide, poi a Grado dove il
Centauro ammaestra il giovane Giasone e infine a Pisa nella Piazza dei
Miracoli dove, ad onta di ogni plausibilità cronologica, Pasolini aveva
posto la Ragione in omaggio a Galileo: la razionale Corinto che si
opponeva a Medea.
La Callas aveva avuto dalla produzione una cameriera,
Bruna, oltre alla sua assistente Nadia Stancioff. Non lasciava mai i
suoi due cagnolini. Il rapporto con Pier Paolo divenne intenso: fu più
di un´amicizia e a un certo punto, complice una foto scattata in
aeroporto dove si vedono i due scambiarsi un bacio sulle labbra, si
parlò addirittura di amore. Ne parlarono cioè i rotocalchi e i
giornalisti più inclini al gossip e la storia fu ripresa diverse volte.
Uno scrittore spagnolo, Terence Moix, la rielaborò e voleva anche farne
uno spettacolo.
In realtà si trattava di un amore impossibile, anche se tra i due c´era
affetto e profonda confidenza. Pasolini era disperato perché Ninetto
Davoli lo stava lasciando per una ragazza. Nell´agosto del ´71 aveva
scritto a Paolo Volponi: «Sono quasi pazzo di dolore. Ninetto è finito.
Dopo quasi nove anni Ninetto non c´è più. Ho perso il senso della vita.
Penso soltanto a morire o cose simili. Tutto mi è crollato intorno:
Ninetto con la sua ragazza disposto a tutto, anche a tornare a fare il
falegname (senza battere ciglio) pur di stare con lei; e io incapace di
accettare questa orrenda realtà, che non solo mi rovina il presente, ma
getta una luce di dolore anche in tutti questi anni che io ho creduto di
gioia».
La Callas fu messa a parte della tragedia e gli scrisse: «Sono infelice
per te, ma contenta che ti sei confidato in me. Caro amico – sono
infelice che non posso essere vicina in questi momenti difficili per te –
come lo sei stato tu spesso con me. Tu sai bene in fondo che sarebbe
andata così. Ti ricordi a Grado in macchina si parlava e con Ninetto di
amore e che so io – dentro in me – le mie antenne tu dici – me lo
dicevano quando Ninetto diceva che non si innamorerebbe mai – sapevo che
diceva delle cose che era troppo giovane per capire. E tu in fondo uomo
tanto intelligente – lo dovevi sapere. Invece ti attaccavi anche tu a
un sogno – fatto da te solo – perché è così anche se ti addoloro con
questa predicuccia piccola…».
Non è la prima volta che la Callas, che si firma «Maria (fanciullina)»,
si incarica di dire a Pier Paolo cose magari spiacevoli. In una lettera
scritta «dalle nuvole» e cioè da un aereo della Olympic Airways in volo
per New York, arriva a dirgli che l´amicizia di Alberto Moravia (con il
quale lei e Pier Paolo insieme a Dacia Maraini avevano condiviso un
viaggio in Africa) non l´ha mai del tutto persuasa.
«Sai, caro amico, di
veri amici – o veri e basta, pochi ne ho trovati, per non dire nessuno…
E ci tengo alla tua verità e sincerità. Siamo assai legati
psichicamente – oso dire come raro si fa in vita». Un italiano dalla
sintassi bizzarra, chiosa Nico Naldini nella sua Breve vita di Pasolini,
«forse appreso nei corridoi dei teatri».
«Assai legati psichicamente»: Maria Callas coglie la profondità di un
rapporto che non è semplice amicizia. Per Maria Pasolini riprende a
dipingere in modo oserei dire carnale, usando elementi naturali, come il
succo dei fiori, per Maria si adatta a fare una crociera con il panfilo
di Onassis e a passare una vacanza nella sua isola, per Maria scrive
poesie che Enzo Siciliano ha interpretato con finezza nella sua Vita di
Pasolini. «La donna è per Pier Paolo “riapparizione ctonia” –
riapparizione da un viaggio compiuto in luoghi mai percorsi. La donna
torna con una notizia, la notizia del “vuoto nel cosmo” […] In Maria,
Pier Paolo – una sera a Parigi (“Parigi calca dietro alle tue spalle un
cielo basso/con la trama dei rami neri”) lesse una richiesta d´amore:
amore fra donna e uomo. Vi lesse la consueta, antica, donnesca richiesta
che l´uomo sia “padre”. Pier Paolo, a quella richiesta, non poteva dare
risposta».
Le poesie per Maria figurano in una delle raccolte più problematiche di
Pasolini: Trasumanar e organizzar uscita per la prima volta nel 1971. La
precedente raccolta, Poesia in forma di rosa risaliva al 1964, dunque
Trasumanar è un ritorno alla poesia dopo un lungo silenzio, con la
volontà di tracciare alcune linee guida per il proprio scrivere versi.
Trasumanar è, come si sa, un verbo dantesco e viene dal primo canto del
Paradiso. Trasumanar è andare oltre l´umano, cui segue, nella Commedia,
«significar per verba», cioè dare senso attraverso le parole. Pasolini
gioca con il dettato dantesco, fino alla parodia («Manifestar significar
per verba non si poria») e detta all´Ansa, per gioco, la propria scelta
stilistica: «Smetto di essere poeta originale, che costa mancanza/ di
libertà: un sistema stilistico è troppo esclusivo./Adotto schemi
letterari collaudati per essere più libero./Naturalmente per ragioni
pratiche». Andrea Zanzotto colse bene la difficoltà dell´insieme. I
critici non si mossero per questa raccolta e Pasolini, provocatorio, si
recensì da solo sul Giorno. Ma la poesia più luminosa non è tra quelle
per Maria Callas: è una poesia per Ninetto, datata 2 settembre 1969. Si
conclude così: «Della nostra vita sono insaziabile/ perché una cosa
unica al mondo non può essere mai esaurita».
Pier Paolo Pasolini, da “la Repubblica”
Cara Maria, stasera, appena finito di lavorare, su quel sentiero di
polvere rosa, ho sentito con le mie antenne in te la stessa angoscia che
ieri tu con le tue antenne hai sentito in me. Un´angoscia leggera
leggera, non più che un´ombra, eppure invincibile. Ieri in me si
trattava di un po´ di nevrosi: ma oggi in te c´era una ragione precisa
(precisa fino a un certo punto, naturalmente) ad opprimerti, col sole
che se ne andava. Era il sentimento di non essere stata del tutto
padrona di te, del tuo corpo, della tua realtà: di essere stata
“adoperata” (e per di più con la fatale brutalità tecnica che il cinema
implica) e quindi di aver perduto in parte la tua totale libertà. Questo
stringimento al cuore lo proverai spesso, durante la nostra opera: e lo
sentirò anch´io con te. È terribile essere adoperati, ma anche
adoperare.
Ma il cinema è fatto così: bisogna spezzare e frantumare una realtà
“intera” per ricostruirla nella sua verità sintetica e assoluta, che la
rende poi più “intera” ancora. Tu sei come una pietra preziosa che viene
violentemente frantumata in mille schegge per poter essere ricostruita
di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale
della poesia. È appunto terribile sentirsi spezzati, sentire che in un
certo momento, in una certa ora, in un certo giorno, non si è più tutti
se stessi, ma una piccola scheggia di se stessi: e questo umilia, lo so.
Io oggi ho colto un attimo del tuo fulgore, e tu avresti voluto darmelo
tutto. Ma non è possibile. Ogni giorno un barbaglio, e alla fine si avrà
l´intera, intatta luminosità. C´è poi anche il fatto che io parlo poco,
oppure mi esprimo in termini un po´ incomprensibili. Ma a questo ci
vuol poco a mettere rimedio: sono un po´ in trance, ho una visione o
meglio delle visioni, le “Visioni della Medea”: in queste condizioni di
emergenza, devi avere un po´ di pazienza con me, e cavarmi un po´ le
parole con la forza. Ti abbraccio.
Nessun commento:
Posta un commento