«Fabrizio De Andrè […] rientra in quella finora innominabile categoria
senza genere di geni, di poeti, filosofi, persino martiri, che hanno amato e
amano il pallone. Gli insospettabili. Gli insoliti noti».
Con questa bellissima frase ho deciso di iniziare la presentazione del
libro dedicato ad un genoano d’eccezione; non a caso una recensione che compare
dopo mesi di silenzio.
Devo dire la verità, cari lettori: l'opera mi ha piacevolmente sorpresa.
Ho iniziato la lettura aspettandomi un lavoro di documentazione – poiché l'autore
correttamente dichiara di aver lavorato sui materiali dell'Archivio del Centro
Studi "Fabrizio De Andrè" presso l'Università di Siena – invece no. O
almeno, non solo. Mi sono trovata alle prese con un vero e proprio romanzo;
emozionante come un thriller e coinvolgente molto più di una biografia
"tradizionale", arricchito da numerosissime testimonianze.
Quel che vorrei sottolineare, al di là del contenuto, è che "Il
Grifone fragile" non è un lavoro autoreferenziale. Non è, cioè, scritto da
un genoano, ma da un appassionato di De Andrè di dichiarata fede romanista.
Eppure parla del Genoa - del nostro Genoa - con un amore e una dedizione
esemplari, che forse noi non dedicheremmo a un'altra squadra, nemmeno al nostro
"gemello" Napoli. Perché dico questo? Per evidenziare il fatto che,
forse, il Genoa, con la sua storia, i suoi personaggi, i suoi tifosi è
portatore di valori universali che vanno al di là del calcio giocato.
«Che cos’è il tifo? E’ una sorta di fede laica [...] nasce da un bisogno
forse infantile ma pur sempre umano di identificarsi in un gruppo che ha come
fine la lotta per la vittoria contro altri gruppi. Questo desiderio primario
può essere contenuto in una rivalità sportiva o sconfinare nel fanatismo, ma
questo penso sia un problema che in parte deriva dal carattere dei singoli, in
parte dall’educazione che i singoli ricevono dalla società. Voglio dire che un
individuo facilmente influenzabile, a cui la società insegna continuamente che
la vita è soltanto una lotta a coltello per la sopravvivenza, facilmente
diventerà un fanatico e nel momento in cui ipotizzerà la sconfitta della
propria squadra in cui si identifica per un bisogno di protezione, considererà
tale sconfitta, sia prima che la sconfitta si verifichi, per scongiurarne sia
dopo che si è verificata, per vendicarsi...Il fattore “fanatismo” anche questo
deriva dai pessimi esercizi e dai cattivi insegnamenti degli oligarchi e della
civiltà dei consumi».
Non è un politologo o un sociologo che parla: è un cantante che ha
sempre fatto della coerenza una regola di vita. E’ quella persona che ha
rifiutato l’abbonamento onorario in tribuna d’onore al Genoa per la stagione
1998-99. E’ quella persona che invece di scegliere la via dritta della carriera
paterna ha deciso di vivere di canzoni, che ha deciso, in un certo senso, di
allontanarsi dalle orme di famiglia, come un moderno Francesco che restituisce
le ricchezze al padre e si riveste di un solo saio.
Questo e molto altro troverete ne “Il Grifone fragile”, cari lettori.
Ve ne raccomando la lettura.
18.08.2013
© Monica Serravalle
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