mercoledì 29 maggio 2013

“Il Grifone fragile” di Tonino Cagnucci


 
Doverosa premessa di manifesta faziosità: parlare di Faber e di Genoa mi coinvolge troppo, nell’esatta quantità in cui – per sua stessa ammissione – il Genoa coinvolgeva Fabrizio De Andrè. Non sarò dunque per nulla distaccato nel parlare del libro Il Grifone fragile di Tonino Cagnucci.

Coinvolgimento. Perché se nasci in questa città le probabilità di incontrare Genoa e De Andrè ancora prima di capire cosa siano calcio e musica sono piuttosto alte.

Racconta Cagnucci che Fabrizio De Andrè scoprì la sua genoanità (sì, “scoprì” perché genoani lo si è già ancora prima di nascere) in un Genoa-Torino del dopoguerra, quando – sotto di tre reti a zero e a cinque minuti dalla fine – la squadra di casa intraprese una rimonta che solo un palo colpito all’ultimo minuto rese incompiuta. Vinse il Toro 3-2, quel Toro (il Grande Torino, la squadra tifata dal padre che lo aveva portato per la prima volta allo stadio). Ma il piccolo Fabrizio rimase incantato da quella incredibile e incompiuta rimonta intrapresa – in direzione ostinata e contraria – da undici ragazzi con una maglia a quarti rossoblù. D’altronde se prendiamo per vera la tesi sostenuta dal Premio Nobel Albert Camus e cioè che “Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio” allora si può affermare tranquillamente che per un tifoso del Genoa imparare ad andare controcorrente e ad amare incondizionatamente è più facile rispetto a molti altri tifosi di calcio.
Il Genoa non viene nominato mai in nessuna delle sue canzoni. Il Genoa era il suo pudore, diceva “al Genoa avrei scritto una canzone d’amore, ma non lo faccio perché per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che scrivi, invece il Genoa mi coinvolge troppo”. Coinvolgimento.

Ma è attraverso gli aneddoti di Faber su alcune glorie del passato (da Verdeal ad Abbadie, da Meroni a Turone) che questo libro è riuscito a riappacificarmi con il calcio. Un libro che parla di un calcio antico fatto di passione e di emozioni ad una piazza ormai totalmente rincoglionita da una squallida politica societaria che propina un calcio moderno fatto di plusvalenze e intrallazzi di ogni tipo. Un libro che può tornare utile a tutti quelli che ancora, dopo un anno, non hanno capito il gesto d’amore di quel Genoa-Siena: per dirla con le parole di Gianfranco Zigoni, “il genoano sa amare come pochi altri perché sa soffrire”. Un libro che può tornare utile a tutti quegli pseudo-intellettuali a cui qualche decadente giornale lascia spazi da riempire e che da comode postazioni – poltrone o amache che siano – parlano della città di Genova senza conoscerne l’identità: ho ancora in mente un cervellotico editoriale pubblicato quest’inverno che, basandosi sulla presenza di qualche sciarpa al collo dei metalmeccanici in piazza, si trasformò in un manifesto contro la società contemporanea imbarbarita dalla presenza degli operai che si fanno hooligans (se ci ripenso rimango ancora basito).

De Andrè non ha mai cantato il Genoa (ad eccezione di una canzone scritta agli inizi degli anni ’90 con Francesco Baccini) ma in tante sue canzoni è possibile trovare il Genoa, essendo che due grandi temi dell’opera deandreiana sono la città di Genova e l’amore.

Un libro, dunque, che parla di Faber, di Genoa, di Genova e di amore come di un grande indissolubile intreccio di quattro fili. E poi le coincidenze, che ritornano quasi ossessivamente. De Andrè che nasce nella settimana in cui il Genoa è per l’ultima volta in testa al campionato alla fine del girone di andata. De Andrè che riesce a scavare nell’umanità dei suoi rapitori attraverso la curiosità per i risultati del Genoa. De Andrè che manifesta la sua genoanità chiedendo a Gesù Bambino la maglia da calciatore del Genoa dopo un Genoa-Lucchese degli anni ’40 e De Andrè che muore una domenica sera dopo un Lucchese-Genoa degli anni ’90.

Sono grato a Tonino Cagnucci per questo intenso ritratto di un De Andrè sconosciuto ai più (soprattutto a chi non è di Genova) perché nonostante una fede calcistica diversa (anche se ritengo dai connotati molto simile a quella genoana) è riuscito a descrivere non solo Faber ma anche tutti noi.

Dal Blog: Il mondo è nostro


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