mercoledì 26 giugno 2013

Quella sciarpa gliel'ho regalata io...

«Dentro alla bara di Fabrizio c’è una sciarpa del Genoa... Quella sciarpa gliel'ho regalata io... Fabrizio era uno del grande popolo del Genoa. Lui queste cose le sapeva bene, le sapeva meglio di chiunque altro. Di che parliamo? Di questo sentimento di genoanità. Di quel campionato di serie C, di quel Genoa lì... Le sapeva persino meglio di me certe cose De André, eppure senza di me sugli spalti il Genoa non giocava. La mia prima partita allo stadio è del 1939, Genoa contro Liguria, all’epoca loro (i doriani, nda) non c’erano... Mi chiedi perché i doriani non cantano allo stadio Creuza de ma? E ti credo, come fanno? ... Genova non è roba loro. Non li consideravamo, io non chi siano. A Genova sono famoso anche per questo, una volta Il Secolo uscì con una pagina e un titolo: "Ecco l'uomo che non ha mai nominato la Samp". (...)
 
La Liguria aveva la maglia nera, era la squadra dei fascisti. Anche in questo Fabrizio è stato profondamente genoano. Anarchico nell’anima. Sotto il fascio ci hanno costretto a cambiare nome, ci hanno chiamato Genova, perché noi eravamo la squadra del popolo, ma anche la squadra fondata dagli inglesi. Io me le ricordo le irruzioni delle squadracce in piazza De Ferrari in sede. Essere del Genoa è un inno alla libertà, al mare. E Fabrizio De André più di ogni altro ha cantato la libertà. Per me il Genoa è sempre stato tutto. Ho fondato club e ho vissuto la Gradinata Nord. C’era un tempo in cui se non andavo allo stadio non cominciava la partita, ancora adesso vado allo stadio, sempre andrò a vedere il Genoa, in tribuna o a salutare i ragazzi della Gradinata. Li conosco tutti. Sono stato testimone di nozze di Ramon Turone, che grande Ramon, l’hai sentito? Lui l’ha conosciuto Faber. Quando abbiamo vinto quel mitico campionato di serie C, poi l’hanno venduto al Milan, lui quella sera è venuto a bussare a casa mia piangendo, sbattendo la porta: “Pippo fai qualcosa tu, fammi restare, non mi far andare via dal Genoa”.
 
L’ho dovuto consolare e dirgli io: “Guarda cazzo che vai al Milan!”. Non gliene fregava niente, Ramon era stato il Capitano di quel Genoa entrato per sempre nei nostri cuori, dei cuori malati di Genoa come quello di Faber. Quando Turone è andato a Roma sono andato a trovarlo, a Via Appia. Io simpatizzo per la Roma. Ci legano tante cose... Ogni genoano sente l’orgoglio di avere Fabrizio De André nella sua famiglia, è uno di noi, gli abbiamo fatto parecchi striscioni. La sua era una passione incolmabile di cui io sono testimone. Il testimone della fede di Faber. Mi piace questa cosa. Lui era uno del popolo del Genoa. E c’è tanto dell’essere genoani nel suo modo di cantare. Fabrizio De André non era un simpatizzante, non era uno così, era uno colto del Genoa, uno che ci capiva, che non lo esternasse è un altro conto. E pure questo fa parte della genoanità. Noi non svendiamo le cose. (...)
 
Parlavamo soprattutto di cosa significhi essere genoano. Parlavamo dei tempi mitici di quella serie C. Tu mi chiedi qual è stata la gioia più grande di me come tifoso, io ti dico la vittoria nel campionato di serie C nel 1970-71. È così per chiunque abbia vissuto la storia del Genoa. La prima partita di quel campionato a Marassi c’erano 42 mila persone, vattelo a vedere! Siamo andati porta a porta a prendere la gente per portarla allo stadio. Più di 40 mila genoani per la prima partita in serie C della nostra storia contro l’Olbia. Questo è il Zena. Questo è quello che ci raccontavamo con Fabrizio. Non gli è andata mai via questa passione: se l’è portata fin dentro la tomba». (Pippo Spagnolo)
 
Da Il Grifone fragile pagg. 73-75

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