giovedì 6 giugno 2013

CALCIO E POESIA: "IL GRIFONE FRAGILE"

Un grifone che vola altissimo…potente e fragile nella sua perfezione.

L’attacco di un articolo è fondamentale e per inziare questo mi sono venute in soccorso le parole del grande Don Gallo, scomparso da poco: “Tre testi sono la mia guida nella vita: la Bibbia, la Costituzione e le parole scritte e intonate da Fabrizio De Andrè”. Tre testi che erano sul suo feretro, insieme alla sciarpa del Genoa. Il prete degli ultimi, Don Andrea. Il Cantante degli ultimi, Faber. Grifoni, il rossoblù tatuato sul cuore. Amici.


A raccontarci questo Fabrizio, a entrare in punta di piedi nel suo cuore genoano, a farci respirare l’atmosfera di un calcio che era arte e viveva di slanci e di voli, a parlarci del piccolo Bicio che sceglie la prima volta e per sempre di stare con chi è sconfitto, è la meravigliosa e talentuosa penna di Tonino Cagnucci

Già autore di Francesco Totti, dai pollici al cuore (2010, Limina) e di Daniele de Rossi.Il mare di Roma (2009, Limina), con la sua ultima creatura, venuta al mondo da qualche settimana, Il Grifone Fragile (Fabrizio De Andrè: storia di un tifoso del Genoa), Limina, riesce ancora una volta a incantare, trascinandoci nella vita, nei sogni, nelle letterine a Babbo Natale, nei diari, nelle storie di un Fabrizio De Andrè che giganteggia nella sua essenza di tifoso. E’ proprio uno di noi, lui, Faber.  

La grandezza di Cagnucci sta nel rendere poesia questo aspetto così normale e comune di un personaggio straordinario e non comune. Poesia.

Da quando il piccolo Bicio nasce in una domenica di febbraio del 1940, mentre si gioca la ventesima giornata del campionato di calcio e il Genoa (chiamato ancora Genova 1893), guidato da Mister Garbutt, è primo in classifica, ad un passo dalla sua stella, quella del decimo scudetto. “Da quel momento, dal giorno in cui è nato un Fabrizio De Andrè proprio piccoletto piccoletto in via De Nicolay 12, alle ore 12, il Genoa non è più stato primo in classifica a quel punto del campionato. Così primo. Così in testa. Così campione. Così vicino alla Stella non c’è stato mai più”. E’ un predestinato Fabrizio. 

Il giorno della sua nascita ma anche il giorno della sua prima volta allo stadio. Il papà Giuseppe ha cuore granata, così come il fratello Mauro. Il battesimo del pallone del piccolo Bicio, nemmeno sette anni, è un Genoa-Torino del ‘47, in cui Tonino Cagnucci ci trascina e ci fa vivere come se fossimo lì, anche noi con il popolo rossoblù, a scegliere di essere dalla parte degli ultimi, degli sconfitti, fregandocene del risultato. “Quando lo vedi per la prima volta (il Genoa, ndr), ti sembra la cosa più bella, quella squadra che perde ma che ha con sé la gente (…). De Andrè le cose grandi non le ha mai amate.”

Lì avviene la Scelta, il suo karma si compie: la partita sembra senza storia, all’85’ il Genoa operaio perde 3-0, ma in cinque minuti segna un gol, poi un rigore e poi all’ultimo secondo prende il palo. “E’ l’inizio dell’amore fra De Andrè e il Genova”.

E la letterina a Babbo Natale di Bicio del dicembre del 1948 né è testimonianza: tra i regali chiesti spicca “la divisa del giocatore del Genoa”.

C’è la vita di Fabrizio in queste pagine, col contrappunto musicale delle splendide poesie in musica di De Andrè. Ovunque ci sono le sue canzoni. La sua vita.

Ci sono i giocatori di cui calcisticamente si innamora: prima bambino di Verdeal negli anni ’40 e adolescente di Abbadie negli anni ’50; poi nel 1962, quando Fabrizio è già marito e padre di Cristiano, arriva Gigi Meroni, artista del pallone, primo amore calcistico consapevole, come ci racconta Cagnucci attraverso le parole di Dori Ghezzi. Amico di De Andrè, come “di chi alle geometrie preferisce il caos stellare che c’è dentro a un dribbling”, Meroni è la libertà. Così come la pazzia di Zigoni, altro grande, sempre sopra le righe, mai conformista. Ci sono gli allenatori: Scoglio, il professore; Bagnoli, l’operaio. Personaggi di un calcio che oggi sembra preistoria.


Tanti protagonisti e tante cose popolano questo libro, lo rendono vivo: Piero Repetto, professore di italiano paralizzato, e la sua casa, dove si ritrovavano per notti intere, per anni, calciatori, poeti, cantanti, attori, ma anche sbandati, pescatori, gli umili, gli ultimi. L’umanità. 

Pippo Spagnolo, capo-ultrà genoano. I vicoli, i carruggi di Genova, lo stadio di Marassi (Fabrizio non mancava una partita), l’amore per Ramon Turone, innamorato del Genoa, Capitano rossoblù, ammiratore di De Andrè, sognatore, simbolo di un calcio che non c’è più e che incendiava gli animi e li faceva volare. Non contava vincere, contava esserci, cantare, far volare il grifone. La Gradinata Nord. Il Mare. Dori Ghezzi. I figli. La terribile esperienza del sequestro in Sardegna, quei quattro eterni mesi vissuti con Dori in cui una delle pochissime consolazioni era chiedere cosa aveva fatto il Genoa.

E poi ancora Paolo Villaggio, amico fraterno sampdoriano, i New Trolls, Pasolini, Baccini. Tutte persone che ci svelano un Faber diverso, tutte testimonianze raccolte da Tonino Cagnucci che rendono questo libro prezioso e imperdibile.

La chicca sono i diari di Fabrizio, conservati dalla Fondazione a lui intitolata, a Siena. Sono agende, diari in cui, proprio come uno qualunque di noi, si trovano classifiche, formazioni, appunti, proiezioni di punteggi, incroci, domande e risposte, e quasi tutto rimanda ad un unico grande amore, mai esibito, mai declamato, mai cantato, ma sempre presente: il Genoa. E quella sciarpa rossoblù con cui ha voluto essere cremato.

“E’ il suo Genoa. E’ il Genoa che lo fa cantare. In un concerto a un certo punto dirà. Interrompendosi: <Scusate, vi devo dire una cosa…Ho una malattia>. Silenzio. Di tutti. Poi improvvisamente tira fuori una sciarpa rossoblù. La spiega. <E’il Genoa. La mia malattia si chiama Genoa>. Tifa. Tifa. Vive.”


Tonino Cagnucci sa scrivere, non c’è dubbio, prosa e poesia si mischiano in un’alchimia sempre gradevole, a tratti pregevole. Oltre a questo, è una persona umile, gentile e disponibilissima. Abbiamo fatto una bella chiacchierata sul suo libro.

Mi dice subito che la musica di Faber ha avuto un ruolo fondamentale nella sua vita, lo accompagna da sempre. E quando gli chiedo di scegliere tre titoli di canzoni per lui più significative mi risponde: “E’ come scegliere tra figli. Diciamo Il Testamento di Tito, Hotel Supramonte e Un malato di cuore. Ma ce ne sarebbero tante”.

-Hai trovato degli aspetti in comune tra Tonino tifoso e Faber tifoso? Un vissuto simile?-

Quello che sicuramente mi ha colpito sono le agende, i diari. Me lo rendono vicino nel senso che scrivere tabellini, probabili formazioni sul diario è ancora adesso un’abitudine. E anche De Andrè lo faceva anche da adulto”.

-Più in generale tifo romanista e tifo genoano possono essere accomunati?-

“Storicamente sì. Una volta eravamo gemellati. Certamente con il tempo le cose sono cambiate”

-Sei mai stato a Genova? Cosa hai respirato?-

“Sì, ci sono stato prima delle Colombiadi, e poi anche dopo. Sono stato a Via del Campo, e in tanti di quei posti e quei vicoli cantati da Faber. Amo le periferie, la Strada. A De Andrè, come a Don Gallo e a Pasolini, mi lega l’amore per gli ultimi. Ho avuto un’esperienza di vita in un campo nomadi, durante il servizio civile. Accompagnavo e riportavo a casa un gruppo di bambini rom, di etnia e lingua Romanesh (slavi), ed è stato un periodo molto intenso, in cui ho scoperto una cultura veramente forte, radicata. Un giorno ai bambini ho fatto sentire la canzone di Faber Khorakhanè, in cui una parte è cantata in romanesh…è stato un momento emozionante, si è subito fatto un gran silenzio nel pulmino, tutti ascoltavano. Questa canzone, insieme a Smisurata Preghiera, sono molto significative per me”

-Del rapporto di Fabrizio con Don Gallo mi sai dire qualcosa?-

“Guarda, mentre preparavo il libro ci dovevamo incontrare, ma già non stava bene. Ho una sua mail in cui mi ha scritto: Fabrizio è di tutti. Credo che sia stato e sia proprio così.”

-Come è stato accolto il libro dai tifosi del Genoa?-

“Il tifo di De Andrè a Genova non era certo un segreto, ma neanche i tifosi genoani sapevano che la sua passione per il grifone era così piena e forte. Ne sono rimasti colpiti anche loro. Fabrizio, come tutti i genovesi, era riservato, pudico: quello era il suo grande amore e non andava esibito. E invece ora ci sono 171 pagine che parlano di questo.”

-Leggendo di Meroni, di Zigoni, di quel calcio, mi sono chiesta se De Andrè avrebbe disprezzato quello che è diventato oggi il pallone. Tu che ne pensi?-

“Già negli ultimi tempi si era un po’ distaccato. Mi sento di dire che sicuramente si sarebbe allontanato ma sarebbe comunque rimasto irriducibilmente legato al nocciolo duro del suo essere tifoso. E si sarebbe schierato contro il calcio moderno e la tessera del tifoso. Lui era libero, era per la libertà.”


Un grifone vero, fragile e forte, capace di raggiungere picchi altissimi ma anche di volare basso.  Fabrizio De Andrè, un tifoso come tanti. Forse un poeta come nessuno.

Grazie a Tonino Cagnucci per avercelo regalato.

Articolo di Chiara Santucci per ilcaffevitruviano.it

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